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Sabrina Papa, la prima donna non vedente che pilota un aereo. «Non mi sono mai accontentata»

Invece, quasi sempre ci riusciva. E così è iniziata la sua storia con i voli.

Ha frequentato un corso di informatica presso il Cavazza Institute for the Blind a Bologna. Dopo aver completato il percorso di studi, si è trasferita a Roma, dove vive e lavora come impiegata della IBM.

Manterra[1] è rimasta in azienda per sette anni: due di questi si sono trascorsi tra il 2008 e il 2010 alla Scuola di volo-aerotrasporti, per conseguire il brevetto di pilota privato, e cinque nella compagnia per la quale avrebbe voluto lavorare fin da piccola. Chapter 1 Chapter 2 Chapter 3 Chapter 4 Chapter 5 Chapter 6 Chapter 7 Chapter 8 Chapter 9 Chapter 10 Chapter 11 Chapter 12 Chapter 13 Chapter 14 Chapter 15 Chapter 16 Chapter 17 Chapter 18 Chapter 19 Chapter 20 Chapter 21 Chapter 22 Chapter 23 Chapter 24 Chapter 25 Chapter 26 Chapter 27 Chapter 28 Chapter 29 Chapter 30 Chapter 31 Chapter 32 Chapter 33 Chapter 34 Chapter 35 Chapter 36 Chapter 37 Chapter 38 Chapter 39 Chapter 40 Chapter 41 Chapter 42 Chapter 43 Chapter 44 Chapter 45 Chapter 46 Chapter 47 Chapter 48 Chapter 49 Chapter 50 Poi è entrata all'aeroporto maltese e da lì punto è assunta come istruttrice.

Come le è nato il desiderio di pilotare un'auto da racing?

Sin da bambina non volevo essere una pilota, ma proprio l'aereo. Sono nata a Salice Salentino, a pochi chilometri da Galatina, e ho trascorso l'infanzia a sentire questi rumori sopra la mia testa. Volevo essere quel qualcosa che volava velocissimo, che scendeva placidamente nel cielo, sentendomi completamente libera. Una libertà che, ovviamente, chi ha una disabilità non può avere per motivi ovvi.

E quel senso di libertà tanto desiderata, alla fine l'ha provato?

«Sì, ma lo sento ogni volta. Dal momento in cui decollo e volo verso te: percepisco l'aria, il mio aereo, il motore. È una sensazione che mi fa sentire libera da qualsiasi cosa».

Ti hanno mai detto che non sarebbe riuscita a volare o, in generale, fare qualcosa?

«Sempre. Non ho imparato a volare solo perché non l'ho nemmeno mai chiesto. È stato tutto un processo graduale. Da bambina non ho mai detto "voglio volare", sarebbe stato ridicolo. Ricordo ancora che mio padre una volta mi portò a raccogliere uva, volevo aiutarlo. In quell'occasione non mi fecero neanche provare a usare le cesoie. Adesso, invece, le uso sempre per tagliare i rami secchi delle mie piante».

Li ha smentiti, quindi.

"Sì. Poi ho seguito gli studi lontana dal mio paese natale, i miei genitori non riuscivano a comprendere molti aspetti. Io sono fatta così: prima di dire che non riesco a far qualcosa, devo tentare. Poi forse realmente non ci riesco, ma forse ho ragione io. Non è vero che i limiti non esistono. Gli stessi limiti esistono, ma prima di capire cosa quell'estremo limite sia, è opportuno provare. Mia sorella dice che ho sempre voluto fare cose che "non potevo fare".

E invece?

Sono certo di aver avuto quasi sempre ragione.

Il suo primo volo risale quasi a dieci anni fa, nel 2016. Cosa le direbbe Sabrina oggi?

Non so, perché quella Sabrina che stava per pilotare il suo primo aereo, così come la mia bambina che sentiva passare quei giganti sulla testa, non aveva la minima idea di come sarebbero andate le cose. Che avrebbe imparato a pilotare, a fare alcune manovre acrobatiche, che avrebbe fatto esperienze meravigliose con l'Aeronautica militare. Se me l'avessero detto dieci anni fa, non ci avrei creduto. Probabilmente avrei anche riso in faccia.

È sempre accompagnata da un istruttore?

"Sì, assolutamente. Non facciamo le cose per caso, sono sempre supportata da un esperto, ci tengo a stare molto attenti. In quel momento lui rappresenta i miei occhi, siamo un tutt'uno: io, lui e l'aereo. Ho studiato molto e so comprendere quello che m'insegni tramite il nostro linguaggio in volo. Me lo dice quale è la situazione e io devo capire cosa fare. E ovviamente, se fosse necessario, è pronto ad intervenire, siamo un buon trio".

Entriamo al libro. Perché ha scelto il titolo "Volando nell'invisibile"?

«Perché è misterioso. Attraversare l’impercettibile può significare tutto. Non hai capito immediatamente che si sta parlando di un individuo cieco. Come fai a volare nell’impercettibile? Nel mio caso ci riesco senza vedere nulla, come anche un pilota nelle nuvole. È affascinante».

Da quale punto è nata la brama di mettere nero su bianco la sua storia?

Era importante per me lasciare un segno, ma soprattutto raccontare la mia versione dei fatti. In partenza quando la mia storia veniva narrata, ho incontrato qualche problema. Non ho voluto che si parlasse di me.

Poi?

«Poi è cambiato qualcosa. La mamma di un bambino di nove anni non vedente mi ha scritto un messaggio: "Le storie come la tua sono un esempio, una speranza". E ho pensato che non potevo essere egoista. E così ho deciso raccontare la mia storia, ma come l'ho vissuta io».

Sembra che sia diventata una missione raccontare la sua vita?

Sì, ho rivissuto tutto: durante la scrittura, ho pianto, ho riso e mi sono ricordata molti episodi che avevo dimenticato.

Tipo?

Tipo quando ho provato a guidare l'auto della mia amica. Di fronte casa sua c'era una strada deserta, completamente sgombra. Lei era accanto a me a reggermi la leva del padre, ma io mi sono messa al volante e ho fatto avanti e indietro molte volte. L'avevo dimenticato.

Adesso è l'unica allieva pilota della sua nazione, le piacerebbe che qualcuno seguisse il suo esempio?

I sono l'unica risposta che conosco. È un grande sollievo poterlere rispondere, ma mi piacerebbe averla per questo, avere un gruppo di persone a cui rispondere.

Qual sarebbe il prossimo “no” che le piacerebbe allevarsi nel corso del tempo, fino a diventare un glorioso “ce l’ho fatta”?

«Sarebbero numerosi. Mi piacerebbe volare sull'aereo MB-339 delle Frecce, ma lo userà per poco tempo. Vorrei fare un volo di durata più lunga, coprendo più partenze».

Qual è stato il volo che ti ha contato di più?

«Impossibile scegliere. Il primo volo in cui ho fatto tutto da sola, compresi l'atterraggio. O il volo in cui ho fatto le prime manovre acrobatiche, come si fa a non portarlo nel cuore? Quello in realtà ce l'ho anche nello stomaco. O il volo fatto con gli aerei dell'aeronautica. Non so quante altre possibilità ci siano. È una storia e seguire da scrivere».

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